FECONDAZIONE ARTIFICIALE E ALTRO ANCORA

di Paolo Crespi

Quel rompiscatole di Luigi ha letto un articolo che propone di risollevare l’allevamento italiano aumentando le fattrici indigene portate agli stalloni Irlandesi con l’assistenza dello Stato o in alternativa ricorrendo alla fecondazione col seme congelato, così da “far venire” in un certo senso gli stalloni irlandesi in casa nostra.

Dice il proverbio: se la montagna non va da Maometto, Maometto va alla montagna – e vuol dire che i disastri possono sempre essere trasformati in successi solo ricorrendo alla faccia tosta. Così, scandalizzato dalla troppa faccia tosta dell’articolista, Luigi mi ha chiesto di argomentare per i soci del Clubino degli Eoippici contro la fecondazione artificiale.

Ora se Luigi sia ignaro, avventato o semplicemente sadico, non è dato a sapere. Intanto mi ha affibbiato un compito arduo, perché gli argomenti contrari alla FA nel purosangue sono talmente tanti da richiedere un trattato! Non so manco da dove cominciare: forse, dal lasciare da parte Federico Tesio, che credeva che la FA va esclusa perchè solo la monta naturale trasmette l’energia che poi chiediamo ai cavalli da corsa. Ho un discreto rispetto per l’orgasmo maschile, ma temo non abbastanza da farmi dimenticare che, fino a nuova evidenza, i cavalli sono creati esclusivamente con la ricombinazione prevista dagli studi sul DNA di Watson & Crick. Sesso o pipetta, si scambia solo materiale genetico, ma quale energia….comunque.


La prima, ovvia obiezione è tanto puerile da non meritare quasi citazione. E’ che la qualità delle cavalle non cambia se vengono inseminate per via naturale o artificiale, ed è ahimè, di gran lunga, il fattore principale nel determinare la classe dei puledri che da loro nascono. Per cui, visto che le cavalle italiane di qualità ne hanno poca, oppure pochissima, quale mai sarebbe il vantaggio relativo che avrebbero dal ricorso alla FA (che ovviamente diverrebbe disponile anche per le cavalle della concorrenza) non si capisce proprio!

La seconda obiezione, chiamiamola genetica, fa capo al fatto che il progresso di una razza si ottiene, anche, creando opportunità per il parco dei suoi riproduttori. Rinunciando a testarne un gran numero per effetto dell’occupazione dell’utero delle fattrici da parte del seme dei soli stalloni reputati migliori si disperde un immenso patrimonio genetico potenziale. Chi dovrebbe saperlo meglio degli allevatori di purosangue?

Immaginiamo che a un dato momento sia stata permessa la FA, che di conseguenza i prezzi di monta dei migliori stalloni siano molto, molto scesi (legge della domanda e dell’offerta) e che pertanto gli allevatori abbiano limitato l’utilizzo dei nuovi sires ai soli campioni. ok, allunghiamo la lista….ai soli vincitori di corse di gruppo. Immaginiamo l’entusiasmo del nostro articolista. Ottimo. Però…….

Però poi non lamentiamoci se niente più Danehill, e niente più Green Desert o War Front: semplicemente Danzig non ha mai vinto una corsa di gruppo, per cui non sarebbe diventato stallone. Chi gli avrebbe mandato una cavalla sapendo in commercio le monte economiche di celebrati vincitori di Gr1? E niente più Mr. Prospector, per lo stessissimo motivo. Ergo, niente Kingmambo, Curlin, American Pharoah e già che ci siamo, niente più Dubawi. Niente più Fairy King, che era maiden, e fine di Falbrav & Helissio. Scordarsi Sharpen Up, per via di Atan, e di conseguenza Kris e Pebbles (quest’anno, per inciso, non avremmo la campionessa Minding). Via Azamour e In the Groove, per colpa di Night Shift.

E se California Chrome fosse tranquillizzato dal fatto che Arrogate, che discende da Mr.P, non esisterebbe più. Anch’egli, con la FA, non avrebbe avuto ragion d’essere, visto che neppure suo padre Lucky Pulpit ha vinto una corsa di Gruppo

C’è poi una terza obiezione, che chiamerei economica. Il numero dei purosangue in circolazione è limitato dal numero di corse disponibili e da quello delle persone disposti a mantenerli. Questo, di base, fa sì che ci sia sempre qualcuno disposto a pagare un po’ di più per i (relativamente) pochi cavalli in giro. Se si vuole che i purosangue aumentino ancora un po’ il loro valore - come discusso da tutti gli allevatori del mondo, quotidianamente - si deve mantenere bassa l’offerta. Già così, col numero di monte limitato (dalla virilità maschile, anch’essa fornita dalla natura in quantità limitata) succede che anche i prodotti dei migliori stalloni, che sono quasi sempre anche figli delle migliori fattrici, hanno un valore spessissimo modesto rispetto alle attese. Qualcuno ha mai provato a verificare qual è il risultato che ottengono alle aste tutti i figli di Galileo? Provate a collegarvi ai siti che elencano tutti i suoi yearlings che ogni anno passano alle aste, e scoprirete che la maggior parte di loro non riesce manco ad avvicinare un prezzo che ripaghi le spese sostenute per produrlo. Ché per quanto ci si sforzi, nei cavalli l’offerta è sempre superiore alla domanda. Dal che discende inevitabile che l’offerta va mantenuta limitata, e che non c’è motivo ragionevole per aumentare all’infinito il numero di puledri che ciascun stallone produce, per di più, nel contempo, riducendo il valore economico complessivo dei suoi figli.

Una quarta obiezione – veterinaria - ha a che fare con la minor efficienza riproduttiva del seme congelato rispetto a quella che ha la monta naturale, che non è questionabile. Siamo sicuri che gli allevatori di tutto il mondo siano disposti ad avere meno cavalle gravide rispetto a quanto accade in questi anni?

La quinta obiezione riguarda l’eccesso di inbreeding che si verificherebbe negli anni. Un questione pertinente e ovvia se ragioniamo a proposito della razza del Purosangue Inglese che discende, tutta da soli 3 stalloni. E per il 90% da uno solo di loro (Darley Arabian)! Già così ogni pedigree contiene una consanguineità che non ha quasi riscontri in altre razze di interesse zootecnico (e che ha creato molti fenotipi negativi a trasmissione genetica): immaginiamo quello che accadrebbe se quasi tutti i puledri risalissero a pochissimi riproduttori esistenti, magari stretti parenti tra loro.


Siamo solo all’inizio. Ci sarà da discorrere dell’arte della monta naturale, dell’etologia equina distorta, di riconoscimenti di paternità, e di chissà di quant’altro. Di obiezioni, se solo mi metto a fare una minima ricerca su internet, ne troverò decine.

Di argomenti seri e sostenibili contro la FA nel purosangue ce ne sono moltissimi, mentre a favore ce ne è solo uno, bello grosso (credo sconosciuto all’autore dell’articolo sul Trotto e Turf che ha letto Luigi). E’ un argomento socio-economico, rilevante e profondo, che diede spunto a un controversia legale che infiammò la politica Ippica Australiana pochi anni fa: è un argomento mica male. Meglio tralasciarlo in questa nota, chè Luigi poi mi si arrabbia!


Ora prendo fiato e raccolgo le idee prima di proseguire la disanima. E’ questo il momento per sacramentare un altro po’ contro il buon Luigi. Io l’ho fatto prima, ora tocca a voi. Non è già abbastanza noioso questo pezzo?


E’ che il Clubino degli eoippici è fatto così: uno lancia una discussione, gli altri gli vanno dietro. Guarda quella su California Chrome, eletto cavallo dell’anno 2016 dal nostro Clubino. Mancava poco alla disputa della Breeders Cup Classic, ma il sauro aveva già fatto tutto quanto bastava per meritarsi il titolo. Imbattuto in 6 corse vinte con facilità; avrebbe vinto anche a Santa Anita, come no. Quindi, perché aspettare? California Chrome è stato acclamato, e Luigi mi ha tempestato di chiamate: voleva trovassi l’indirizzo di Art Sherman che allena il cavallo, per recapitargli l’attestato assegnatogli, premio povero ma non per questo meno prestigioso!

Per trovare l’indirizzo ci sono voluti tre tentativi e molti solleciti di Luigi al povero autore di questo scritto. Ma se lui si caccia in testa una cosa non indietreggia di fronte a nulla.

E poi, cosa ti va a capitare. Che California Chrome Breeders, si fa battere! Accidenti a California Chrome, e accidenti alla testardaggine di Luigi. Abbiamo sbagliato?


Le corse dei cavali d’altronde sono fatte così, da sempre. Nulla è prevedibile. Beh, se volete saperlo, questo è proprio uno dei motivi per cui mi piacciono tanto. Non c’è proprio modo di sapere come andrà a finire. Mi affascina, questa cosa. La trovo sportiva, nel senso più bello del termine. Per apprezzare tutta questa impossibilità di capire le corse si deve diventare fatalisti; si deve addolcire il carattere, limando l’orgoglio così che non esiste più l’avere ragione, al massimo può capitare di averla azzeccata. Coi cavalli, siamo messi sempre di fronte ai nostri errori e dobbiamo imparare ad accettare il mondo che ci circonda.

In estrema sintesi, per amare le corse dei cavalli si deve diventare persone migliori.


E qui risalta fuori Mr. Sherman. Si, proprio lui che in questi giorni troverà il nostro attestato nella cassetta delle lettere. Io credo che sia un tipo speciale, e mi interessa moltissimo.

Perché l’altro giorno mi ha proprio dimostrato di AMARE le corse dei cavalli.

Francamente, Mr. Sherman mi interessa molto di più della diatriba sulla FA, che infine ha a che fare banalmente col desiderio di qualche allevatore di spendere un po’ meno e avere un (presunto) cavallo di maggior valore. Senza riguardo per i cavalli, le corse, per ciò che hanno portato nel nostro cuore: per me, da quel punto di vista, non c’è proprio nulla da cambiare. Le corse dei cavalli….vanno bene così come sono, datemi retta.


E allora lo sapete cosa faccio? Smetto di menare il can per l’aia, butto a mare Luigi, l’articolista del Trotto&Turf e la loro polemica sulla FA: tutta lana caprina, se parliamo di corse dei cavalli. Adesso vi parlo di Art Sherman, di California Chrome, della sconfitta. Adesso parliamo di corse.


Ecco cosa è successo. California Chrome è andato in testa, senza sparare frazioni esagerate. E’ entrato in retta con benzina nel serbatoio, e il suo fantino si è girato per guardare gli avversari. In sella ad Arrogate quel diavolo di Mike Smith si era nascosto alle sue spalle, in scia, pronto alla guerra. Guerra che ha dichiarato dopo 100 metri di dirittura, saltando addosso come una furia al cavallo di Mr. Sherman. Tre furlongs spettacolari, a mille all’ora, staccando brutalmente gli altri avversari, con Chrome che pareva tenere in mano la situazione. Solo a pochi metri dal palo Arrogate è passato: in un singolo istante, tutti, pure il telecronista, hanno visto svanire il sogno della stagione perfetta del nostro pupillo.

Il regista della trasmissione TV non si è manco soffermato ad aspettare che il terzo arrivato raggiungesse il palo d’arrivo. Ha mostrato Bob Baffert, l’allenatore di Arrogate. Uno nato vincente, uno che si è bevuto le ultime 3 Breeders Cup Classic di fila, uno che ha vinto la Triplice Corona. Con la sua bionda moglie che lo abbracciava felice. Esultava, più che dopo il trionfo di American Pharoah nel 2015. Se non ci fosse di mezzo un gioco di parole col nome del suo cavallo, mi sarebbe parso Arrogante.

Un attimo dopo il regista ha mostrato Art Sherman. Teso, fissava il palo d’arrivo e, sapendo di essere seguito da una telecamera, abbozzava un sorriso forzato.

Arrogate e California Chrome hanno continuato a galoppare dopo il palo, rallentando, e si sono separati. Le telecamere sono andate su Arrogate, e la cronista a cavallo si è affrettata da Mike Smith per intervistarlo. Nessuno guardava più Chrome, ma pure lui era ancora in pista, e tornava lentamente verso il dissellaggio dei battuti.

Lì l’inquadratura è tornata su Art Sherman, che non era ancora sceso della tribuna per tornare dalla sua superstar. Quasi sadicamente, un giornalista si è messo ad intervistarlo.


Io ero a casa, sul divano. Pensavo a Zenyatta e alla sua Breeders Cup, che non è quella che ha vinto con facilità irrisoria, circumnavigando ogni avversaria con altro passo. Neppure quella che la vide trionfare contro i maschi proprio a Santa Anita. La Breeders Cup di Zenyatta, per me, è quella che perse: la sua ultima corsa, dopo 19 trionfi consecutivi.

La volta che fallì la partenza e poi rincorse da posizione disperata, fallendo di un baffo un successo che chiunque avrebbe detto impossibile in ogni istante della corsa. La montava proprio Mike Smith, mi pare.

Pensavo ai favoriti battuti e a come qualche volta –quando uno è un campione per davvero- anche la sconfitta non tolga proprio nulla al valore di un cavallo, anzi.


Ecco cosa ha detto Art Sherman pochi secondi dopo la grande sconfitta di California Chrome:

Oggi ho visto due campioni. Il mio ha corso fino a farsi uscire gli occhi dalle orbite, e non accampo scuse: tutti i cavalli, prima o poi, possono essere battuti, ma che importa. Questo è il più gran cavallo che abbia mai allenato e lo rimane ancora. Oggi è stata una grande corsa, veramente una grande corsa”.


Art Sherman ha quasi 80 anni, non è mai stato un allenatore famoso. Quando va bene ha 20 cavalli in scuderia. Al Derby, prima di California Chrome, si era avvicinato solo una volta, come groom di Swaps quando aveva solo 18 anni. E’ un mestierante coi cavalli che non stanno a Santa Anita o a Hollywood Park – lui sta a Los Alamitos, con le piccole scuderie e i cavalli di poche pretese.

A un dato momento uno dei suoi, col pedigree volgare, uno che aveva cominciato (perdendo) dalle corse sui 900 metri….l’ha elevato in cielo. A Santa Anita, nel Derby che lo rivelò al mondo, a Churchill Downs e a Pimlico, nelle grandi Classiche. Poi quel cavallo ha iniziato a perdere….per un intero anno è rimasto maiden.

Suppongo che il vecchio Art sappia come va a finire in questi casi. Ma California Chrome è tornato, imbattibile come ai bei tempi. Nel deserto di Dubai, scherzando gli avversari a dispetto della sella scivolata all’indietro, e in una suite di Gr1 in giro per gli Stati Uniti.

Infine, quando la favola era arrivata al suo culmine…Chrome ha perso di nuovo. A un decimo in tabella, quando tutti guardavano solo lui. Come nel giorno delle Belmont, sotto il sole di New York, con la Triplice Corona in ballo.


Il giorno dopo, ai giornalisti che intrufolatisi in scuderia, Sherman ha detto che a Chrome manca ancora una corsa: torneremo, ha detto. Torneremo, e combatteremo ancora.


La sera dopo la Breeders ho stappato una bottiglia e ho bevuto alla salute di Art Sherman.

Alla grazia, alla sportività per davvero. Al volere bene ai cavalli e alle corse. Ho brindato al diventare persone migliori. Alle vittorie, ma soprattutto alle grandi, amarissime sconfitte.


Ho pensato al nostro attestato, un bel giorno gli arriverà; a occhio e croce, ne sarà contento.

Lui credo sia un tipo fatto così, è per quello che mi interessa molto più della Fecondazione Artificiale. Già che ci siamo lo confermo, California Chrome è il cavallo dell’anno 2016. Anzi, ora lo è più di prima.

Io, se fossi un giornalista del Trotto & Turf, mi occuperei di queste cose qua.

Invece non lo sono, per cui mi posso pure far venire un dubbio: non è che Art Sherman avrà votato pure lui per Trump?