Il Federico Caprilli

di Luigi Brighigna



Per alcune stagioni ho frequentato l'ippodromo Federico Caprilli all'Ardenza di Livorno come membro delle terne Commissariali  nominate per le riunioni al galoppo  dal Jockey Club Italiano.  Non furono anni facili per  la giustizia ippica di prima istanza in un periodo durante il quale le contestazioni erano pane quotidiano in  ogni settore della società civile, dall'università come nella politica e appunto gli sport: un cambiamento gestito nel modo più sciagurato era in atto e  ahimè vincente.  Ne patiamo oggi le conseguenze.

Le riunioni del ciclo estivo in notturna  erano vivacizzate  dalle raffinate cene - non ho memoria sia mai mancato il baccalà alla livornese mantecato con raffinata perizia -  che il presidente della Labronica dottor Cave-Bondi ci offriva  prima dell'inizio delle corse. Al proposito ci tengo a precisare un dato non secondario per la correttezza dei giudizi: sono rigidamente astemio.  Durante le riunioni invernali il tramontanino si occupava di calmare i bollenti spiriti dei delusi riportandoli  agli immancabili coloriti commenti dialettali marinareschi e nulla più.   Era invece compito dei 'ponci' bollenti riscaldare gli scommettitori fortunati e consolare i sempre disposti ad accodarsi nel festeggiare.

Da allora sono trascorsi lustri durante i quali i compiti universitari, onerosi e non sempre gratificanti, mi hanno assorbito a tempo pieno. L'ippica in secondo piano e poi più. C'è voluto Morgiano (Denon e Sopran Strike da Smart Strike) un brillante baietto di cinque anni allevato  in comproprietà con alcuni amici, perché ormai alla soglia di una ben meritata pensione  varcassi nuovamente l'ingresso  dell'ippodromo livornese  per seguirne il comportamento in una corsa per velocisti, il che vuol dire partenza all'altezza delle scuderie e percorrere mezzo giro di pista fino al traguardo. Esiguo il numero dei partenti: sei in tutto e betting incerto. Sgabbiata  in retroguardia, gagliarda risalita lungo la curva, stacco prepotente a centro pista in dirittura per conquistare un successo mai messo in discussione: questo il Morgiano nei suoi panni migliori. Ce ne ha date di soddisfazioni.  Non fu la prima né sarà l'ultima, perché il cavallo nell'ambito della sua categoria aveva una certa classe.  Una stretta di mano a Saro, trainer tanto schivo quanto abile nella scelta delle opportunità. Nell'occasione mi sono accaparrato, usando un po' di sottile dialettica a sostegno degli indubbi meriti personali, una coppa che oggi fa la sua bella figura sopra un  mobile del salotto di casa.

Era quello uno degli ultimi convegni della riunione d'inverno e tirava un vento bizzo alquanto fastidioso, ma ne ho un gradito ricordo per un altro spettacolo, altrettanto gratificante rispetto a quello ippico, che mi si presentò all'uscita dall'impianto sportivo: il fantasmagorico tramonto del sole sul mare antistante poche diecine di metri. Una sfera di fuoco che scompariva dietro l'orizzonte del mare appena increspato rendendolo simile ad un tappeto blu costellato di diamanti. E il cielo terso sfumato sul magenta tenue da rimanere incantati come in un sogno. Anche questo fu un  regalo ardenzino di quella felice occasione.

Oggi al Caprilli non si corre più.  L'ippodromo labronico, che nei momenti di splendore vide la frequentazione assidua di titolati e intellettuali come il D'Annunzio, la Duse, Guido da Verona, il Ricasoli e altri, è chiuso, abbandonato alle erbe infestanti e al degrado. Perché in questo Paese, repubblicano per approssimazione e falsamente democratico, lo sport dei nobili - che tale mai è stato per la presa fin dal suo sorgere presso tutte le classi sociali - viene visto come il fumo negli occhi da una politica fallimentare e gli ippici mostrano codardia nel non reagire come  imporrebbe l'amor proprio.